È una mostra che mette insieme le opere collezionate durante le quattro edizioni della residenza “Discontinuo / an open studio” (2018-2021) al termine dal quale ogni artista partecipante ha donato un’opera da custodire nel nostro spazio di creazione e aggregazione: Discontinuo! Qui è dove accade tutto, uno spazio che mantiene i segni del passato storico e di quello artistico. La Vetrina, con la serie di mostre “Archivio” mette in dialogo lo spazio con il fuori. Che siate residenti o di passaggio nella città potrebbe capitarvi di attraversare Vicolo I Mandanici e restare sorpresi dalla presenza di una finestra su questo mondo altro, sospeso, che invita a restare.
Alice Paltrinieri
La stanza di Alice
Estratto dal testo curatoriale redatto durante la terza edizione della residenza Discontinuo.
L’intero lavoro della Paltrinieri nasce dalla necessità di “portare via con sé” pezzi dei luoghi in cui vive o ha vissuto. Per Alice la casa è il principio di tutto, lei campiona e colleziona quei dettagli più nascosti e meno evidenti che fanno parte di una relazione intima e perpetuata nel tempo con l’ambiente: le linee del parquet, i graffi sulle porte di legno, le crepe dell’intonaco sono frammenti della sua stessa identità. Il ricalco della decorazione pavimentale è stato impacchettato e “steso” come un lenzuolo si stende ad asciugare.
Alice Paltrinieri ha partecipato alla residenza Discontinuo #3 con una grande installazione dal titolo VIPM/to go. Al centro della stanza un serbatoio per l’acqua in metallo è stato usato come cassa di risonanza per una traccia registrata dall’artista ogni mattina durante il mese di residenza alle 5:20 per 37 secondi; orario e durata del terremoto che distrusse Messina nel 1908.
Quest’immagine riconoscibile, ingombrante e fissa contiene al suo interno qualcosa di dinamico, una sensazione, una paura: quella del terremoto e l’impossibilità di affrontarlo. Questo modo di procedere - cercare nel quotidiano la possibilità di rivivere un’esperienza traumatica e fissarla in una forma - conduce l’artista a interiorizzare il suono che, dalle orecchie, scende fin dentro la pancia e, idealmente, nella pancia del serbatoio in cui i rumori registrati si mescolano a una traccia creata ad hoc.
Intorno all’opera centrale una serie di altri elementi, tra cui questo che è rimasto nel nostro archivio, ci consentono di approfondire il ragionamento sulla sua ricerca.
Ciao Alice,
Che ricordo hai di quell’esperienza?
Ricordo che la prima cosa che ho notato lungo la strada per arrivare sono stati questi serbatoi blu per contenere l’acqua su ogni terrazza. Da qui l’idea di utilizzarne uno come amplificatore, mi è sembrato simbolico di quel paesaggio, del contesto in cui mi sarei trovata a lavorare. La residenza è stata un modo per confrontarmi con il luogo e con gli altri artisti. Era un momento in cui raccoglievo molto materiale nei posti in cui trascorrevo del tempo, cercando di raccontarne alcuni aspetti e la residenza Discontinuo è stata l’occasione perfetta per approfondire la mia ricerca. E poi c’erano le storie del luogo, leggende e non, che accompagnavano le nostre serate e rendevano ancora più interessante il nostro essere lì.
Il tuo studio per quel mese, che poi è diventato anche lo spazio espositivo, è stata la stanza verde, forse la più intima, quella che ha mantenuto il vecchio intonaco con stratificazioni di verde acqua pallido. Come ti sei relazionata a questo spazio?
Quella stanza presentava stratificazioni di vissuto e un’estetica molto forte. È stato spontaneo per me iniziare a raccoglierne alcuni elementi. Ho cominciato con il pavimento ricalcando le decorazioni e riproducendole su un telo di plastica per poi insaccarlo dentro a dei veri budelli. Un’altra parte del pavimento è diventata uno skateboard di vetro con le ruote. Poi sono passata alla raccolta dei suoni, alle fotografie dei dettagli. Una narrazione dello spazio frammentata in diversi elementi pronti a essere facilmente evacuati in caso di necessità, ma allo stesso tempo dall’aspetto precario, seguendo la suggestione del terremoto.
Quello che abbiamo scoperto di te è il tuo legame con gli oggetti, una fascinazione per il quotidiano da cui avvii la ricerca artistica. È ancora così?
Sicuramente fa ancora parte del mio lavoro che però adesso è legato a un immaginario più onirico. Cerco di rendere visibile ciò che sogno riproducendo oggetti e luoghi incompleti nel tentativo di creare una connessione tra il nostro mondo esperienziale e quello onirico, personale e collettivo.
Se riguardi l’opera che hai donato all’Archivio Discontinuo, oggi che cosa pensi e quanto, se, è cambiato il tuo lavoro intanto?
Quel pavimento riprodotto su un telo di plastica appeso è più onirico di quanto potessi immaginare qualche anno fa! È un pavimento attraverso il quale vediamo immagini distorte e sfuocate. Un pavimento sottile, fragile, leggero, da portar via; ma anche provvisorio come un pavimento sognato. Oggi probabilmente lo realizzerei in digitale o con stampa 3D, ma il pensiero che c’è dietro a questo lavoro è ancora molto attuale per me.
La mostra “La stanza di Alice” è visibile dal 2 al 26 luglio in Vicolo I Mandanici a Barcellona Pozzo di Gotto, Messina.
galleriaramo.com/alice-paltrinieri per approfondire il lavoro di Alice Paltrinieri.
vicolo I Placido Mandanici, 2, 98051, Barcellona Pozzo di Gotto, Italy info@collettivoflock.it